“Call for Illustrations” è un contest, curato da Library, che ha l’intento di porre l’attenzione su una ricerca grafica incentrata sulle riflessioni e le tematiche emerse dagli incontri dell’iniziativa “Oltre il Giardino – Sei conversazioni ai limiti della disciplina” a cura del G6 e promossa dal Dipartimento di Architettura dell’Università di Pescara.
CFI #3 | IL PROGETTO COME OPERA APERTA | RISULTATI
Il Progetto come Opera Aperta | Franco Rella
“ L’idea del progetto come una sorta di narrazione aperta, che via via si trova a inglobare e portare con sé vari elementi contraddittori. Si potrebbe dire quello che Aristotele diceva dell’intreccio “systasis ton pragmaton” il progetto come composizione di azioni diverse. L’opera architettonica non solo è un’opera aperta, ma è anche un’opera plurale: dunque il committente, dunque l’utente, oltre a chi verifica materiali, calcoli, ecc. In più l’opera si distende in genere per un periodo di tempo abbastanza lungo, e tante cose possono succedere, dal progetto, in poi e dentro il progetto stesso. Un viaggio, un quadro, un film possono dare all’idea del progettista una curvatura inattesa ” (Franco Rella)
1° PREMIO (scelto da Library)
Emanuele Biscaro. Memorie portanti
Voto: 9,2 (attinenza al tema: 9,3 //coerenza tra testo e immagine: 9,3 //ricerca grafica: 8,7 //qualità della riflessione: 9,3)
Il progetto, consapevole di far parte di un territorio culturale infinitamente vasto, accetta continue e costanti affluenze. Il passato, lungi dall’essere un inerte reperto, convive in una struttura temporalmente e geograficamente indefinita. Alcuni oggetti, simboli dell’arte, della storia e della natura, si dilatano divenendo setti portanti di una grande copertura, rappresentazione del progetto contemporaneo capace di tenere insieme le diversità. La scenografia è invertita; se da un lato questi elementi scalati dimostrano il loro ruolo attivo-costruttivo nello spazio, una colonna greca e un pilastro miesiano, denudati di qualsiasi valenza tettonica, si fanno sculture, testimoni di epoche distinte ma entrambi vivi della stessa forza spirituale.
Emanuele Biscaro. Memorie portanti
Voto: 9,2 (attinenza al tema: 9,3 //coerenza tra testo e immagine: 9,3 //ricerca grafica: 8,7 //qualità della riflessione: 9,3)
Il progetto, consapevole di far parte di un territorio culturale infinitamente vasto, accetta continue e costanti affluenze. Il passato, lungi dall’essere un inerte reperto, convive in una struttura temporalmente e geograficamente indefinita. Alcuni oggetti, simboli dell’arte, della storia e della natura, si dilatano divenendo setti portanti di una grande copertura, rappresentazione del progetto contemporaneo capace di tenere insieme le diversità. La scenografia è invertita; se da un lato questi elementi scalati dimostrano il loro ruolo attivo-costruttivo nello spazio, una colonna greca e un pilastro miesiano, denudati di qualsiasi valenza tettonica, si fanno sculture, testimoni di epoche distinte ma entrambi vivi della stessa forza spirituale.
1° PREMIO (SCELTO DAL G6)
Alessandro Luporino. La città degli oronauti
Voto: Vote: 8,6 (attinenza al tema: 8,3 //coerenza tra testo e immagine: 9 //ricerca grafica: 8,6 //qualità della riflessione: 8,3)
“…Egli ci insegnò la costruzione, il suo atto. Attraverso questo costruimmo quelle cose che egli ci disse avremmo chiamato case. Poi ci indicò un terreno vergine e all’apparenza ben disposto ad ospitare la vita. Su di esso ognuno di noi vi costruì. Con un bastone ,poi, ci fu detto di tracciarne i confini e di chiamare tale insieme Città. Ci vollero molti anni però prima che la sua forma diventasse parte della nostra memoria e la riconoscessimo come la nostra città. Passarono gli anni e si definirono le architetture e l’edilizia e le strade e tutti quegli spazi per stare insieme che egli definiva Pubblici. E da quel momento la città prese il nome di Orania e ospitò molte genti, e molte genti la cambiarono. Passò da padre in figlio, restando sempre la stessa. Essa era aperta, gentile, disposta a cambiare, modificarsi, alterarsi, essere riscritta e sovrascritta. Egli ci disse che tutto questo non avrebbe cambiato la sua immagine, l’avrebbe solo predisposta ad accogliere nuove generazioni, nuove genti che avrebbero continuato ad amarla e a mantenerla viva…”
Alessandro Luporino. La città degli oronauti
Voto: Vote: 8,6 (attinenza al tema: 8,3 //coerenza tra testo e immagine: 9 //ricerca grafica: 8,6 //qualità della riflessione: 8,3)
“…Egli ci insegnò la costruzione, il suo atto. Attraverso questo costruimmo quelle cose che egli ci disse avremmo chiamato case. Poi ci indicò un terreno vergine e all’apparenza ben disposto ad ospitare la vita. Su di esso ognuno di noi vi costruì. Con un bastone ,poi, ci fu detto di tracciarne i confini e di chiamare tale insieme Città. Ci vollero molti anni però prima che la sua forma diventasse parte della nostra memoria e la riconoscessimo come la nostra città. Passarono gli anni e si definirono le architetture e l’edilizia e le strade e tutti quegli spazi per stare insieme che egli definiva Pubblici. E da quel momento la città prese il nome di Orania e ospitò molte genti, e molte genti la cambiarono. Passò da padre in figlio, restando sempre la stessa. Essa era aperta, gentile, disposta a cambiare, modificarsi, alterarsi, essere riscritta e sovrascritta. Egli ci disse che tutto questo non avrebbe cambiato la sua immagine, l’avrebbe solo predisposta ad accogliere nuove generazioni, nuove genti che avrebbero continuato ad amarla e a mantenerla viva…”
1° PREMIO (SCELTO DAI SOCIAL)
Mariagrazia Dalò, Aldo D’autilio. L’uroboro
Voto: 7,9 (attinenza al tema: 8,7 //coerenza tra testo e immagine: 8,8 //ricerca grafica: 6,5 //qualità della riflessione: 7,8)
Apparentemente statico, immobile ma in continuo movimento rappresenta la forza che divora e rigenera se stesso, il cosmo che tutto comprende, che si rinnova sempre, in cui ogni parte è connessa con ogni altra in un ciclo eterno. Tutto ricomincia dall’inizio dopo aver raggiunto la propria fine. Allo stesso modo l’uomo determina i cicli vitali degli spazi che crea, disegna, modifica, influenza, vive ininterrottamente in un’arco di tempo non determinato, dando vita a ciò che noi chiamiamo Architettura. Il percorso vitale dell’architettura è così il risultato del rapporto dualistico tra il sistema temporale (uroboro) e il sistema urbano (territo-rio): l’esito di questo processo reciproco, evolutivo, non è mai definito, non è mai autentico poiché si sviluppa in un epoca contempora-nea dove l’atteggiamento dell’indifferenza prevale nei confronti dello spazio in cui viviamo. L’uomo è al tempo stesso creatore e distruttore di un’arte dinamica che non avrà mai fine, costruendo nuovi mondi da scoprire e da rige-nerare.
Mariagrazia Dalò, Aldo D’autilio. L’uroboro
Voto: 7,9 (attinenza al tema: 8,7 //coerenza tra testo e immagine: 8,8 //ricerca grafica: 6,5 //qualità della riflessione: 7,8)
Apparentemente statico, immobile ma in continuo movimento rappresenta la forza che divora e rigenera se stesso, il cosmo che tutto comprende, che si rinnova sempre, in cui ogni parte è connessa con ogni altra in un ciclo eterno. Tutto ricomincia dall’inizio dopo aver raggiunto la propria fine. Allo stesso modo l’uomo determina i cicli vitali degli spazi che crea, disegna, modifica, influenza, vive ininterrottamente in un’arco di tempo non determinato, dando vita a ciò che noi chiamiamo Architettura. Il percorso vitale dell’architettura è così il risultato del rapporto dualistico tra il sistema temporale (uroboro) e il sistema urbano (territo-rio): l’esito di questo processo reciproco, evolutivo, non è mai definito, non è mai autentico poiché si sviluppa in un epoca contempora-nea dove l’atteggiamento dell’indifferenza prevale nei confronti dello spazio in cui viviamo. L’uomo è al tempo stesso creatore e distruttore di un’arte dinamica che non avrà mai fine, costruendo nuovi mondi da scoprire e da rige-nerare.
MENZIONE D'ONORE
Edoardo Berardini. Uno Nessuno Centomila
Voto: 8,7 (attinenza al tema: 9,3 //coerenza tra testo e immagine: 9,0 //ricerca grafica: 7,5 //qualità della riflessione: 8,8)
L’edificio è una maschera che nasconde centomila personalità: quelle del progettista originale, dei progettisti che l’hanno modificata, del committente, degli utenti, quelle della critica. La rappresentazione del soggetto chiesa non è limitata ad una fotografia che ci restituisce un opera unitaria e completa, somma delle varie epoche, progetti e interventi, ma con finestre su possibili variazione momenti nella costruzione/progetto. Ogni finestra contraddice quelle vicine, per aumentarne la diversità il contenuto architettonico varia con una esagerazione fantasiosa dei dettagli che sarebbero potuti essere. Anche se i pezzi sono incompatibili tra di loro, seguono sempre la sagoma principale dell’edificio chiesa e il linguaggio costruttivo usato nelle varie costruzioni reali.
Edoardo Berardini. Uno Nessuno Centomila
Voto: 8,7 (attinenza al tema: 9,3 //coerenza tra testo e immagine: 9,0 //ricerca grafica: 7,5 //qualità della riflessione: 8,8)
L’edificio è una maschera che nasconde centomila personalità: quelle del progettista originale, dei progettisti che l’hanno modificata, del committente, degli utenti, quelle della critica. La rappresentazione del soggetto chiesa non è limitata ad una fotografia che ci restituisce un opera unitaria e completa, somma delle varie epoche, progetti e interventi, ma con finestre su possibili variazione momenti nella costruzione/progetto. Ogni finestra contraddice quelle vicine, per aumentarne la diversità il contenuto architettonico varia con una esagerazione fantasiosa dei dettagli che sarebbero potuti essere. Anche se i pezzi sono incompatibili tra di loro, seguono sempre la sagoma principale dell’edificio chiesa e il linguaggio costruttivo usato nelle varie costruzioni reali.
MENZIONE D'ONORE
Antonio Buonaurio, Francesco Cuomo. La forma del vuoto
Voto: 8,4 (attinenza al tema: 8,7 //coerenza tra testo e immagine: 8,7 //ricerca grafica: 7,7 //qualità della riflessione: 8,5)
Più che intendere il progetto come la conseguenza di azioni metodologiche collaudate, che prendono piede con un inizio bene definito e, mediante successivi step, mirano al raggiungimento e dunque alla concretizzazione d’una idea; bisognerebbe soffermarsi sui processi, logici e astratti, che hanno contribuito alla formazioni dell’idea, quindi ai primordi dell’azione del fare. Sostanzialmente è possibile definire il progetto e, per estensione, l’architettura (o l’opera d’arte) secondo due categorie: o considerandolo come l’insieme di attività autonome, autoreferenziali, capaci di definirsi in ciò che producono ovvero progetti, oggetti, edifici e opere; oppure come se fosse un sistema, completo e complesso, di comunicazioni e di espressioni da dover decifrare. É evidente che, nel secondo caso, soltanto chi conosce il linguaggio e il contesto in cui sono emessi e ricevuti i messaggi, quindi i processi di interazione con le vicende umane è in grado di comprendere quelle che sono state le fasi dell’azione progettuale. Per questa ragione non è possibile comprendere un processo arrestandolo. Bisogna concepire tale attività come un continuo fluire in quanto rappresenta un’avventura senza fine, tendente ai confini dell’incertezza. A partire da queste riflessioni, l’opera presentata rappresenta, in maniera evocativa, ciò che l’attività progettuale comporta, ovvero quella di non limitare mai il pensiero alla semplice risoluzione del problema posto (vincoli burocratici e orografici, committenza, stile, forma, linguaggi…) ma alla qualità dei processi che alla fine determineranno il prodotto finale. Ecco perché progettare comporta un continuo confronto che muove dal particolare al generale; emblematica resta la frase di Eliel Saarinen “Progetta sempre una cosa considerandola nel suo più grande contesto, una sedia in una stanza, una stanza in una casa, una casa nell’ambiente, l’ambiente nel progetto di una città.”
Antonio Buonaurio, Francesco Cuomo. La forma del vuoto
Voto: 8,4 (attinenza al tema: 8,7 //coerenza tra testo e immagine: 8,7 //ricerca grafica: 7,7 //qualità della riflessione: 8,5)
Più che intendere il progetto come la conseguenza di azioni metodologiche collaudate, che prendono piede con un inizio bene definito e, mediante successivi step, mirano al raggiungimento e dunque alla concretizzazione d’una idea; bisognerebbe soffermarsi sui processi, logici e astratti, che hanno contribuito alla formazioni dell’idea, quindi ai primordi dell’azione del fare. Sostanzialmente è possibile definire il progetto e, per estensione, l’architettura (o l’opera d’arte) secondo due categorie: o considerandolo come l’insieme di attività autonome, autoreferenziali, capaci di definirsi in ciò che producono ovvero progetti, oggetti, edifici e opere; oppure come se fosse un sistema, completo e complesso, di comunicazioni e di espressioni da dover decifrare. É evidente che, nel secondo caso, soltanto chi conosce il linguaggio e il contesto in cui sono emessi e ricevuti i messaggi, quindi i processi di interazione con le vicende umane è in grado di comprendere quelle che sono state le fasi dell’azione progettuale. Per questa ragione non è possibile comprendere un processo arrestandolo. Bisogna concepire tale attività come un continuo fluire in quanto rappresenta un’avventura senza fine, tendente ai confini dell’incertezza. A partire da queste riflessioni, l’opera presentata rappresenta, in maniera evocativa, ciò che l’attività progettuale comporta, ovvero quella di non limitare mai il pensiero alla semplice risoluzione del problema posto (vincoli burocratici e orografici, committenza, stile, forma, linguaggi…) ma alla qualità dei processi che alla fine determineranno il prodotto finale. Ecco perché progettare comporta un continuo confronto che muove dal particolare al generale; emblematica resta la frase di Eliel Saarinen “Progetta sempre una cosa considerandola nel suo più grande contesto, una sedia in una stanza, una stanza in una casa, una casa nell’ambiente, l’ambiente nel progetto di una città.”
MENZIONE D'ONORE
Zyva. Red dogma
Voto: 8,2 (attinenza al tema: 8,2 //coerenza tra testo e immagine: 8,0 //ricerca grafica: 7,7 //qualità della riflessione: 8,7)
"By immersing myself in the turbulent waters of the Architecture, I noticed that the architectural representation was progressing against current. My retina, damaged by the blue light screen, witnesses an obvious step backwards through a digital, seductive and attractive hyper-realism. Yet, in the Arts world, the image has surpassed the realism barrier for a long time now. This is a reason to believe that the construction domain isn’t ready yet to gulp down this reality at the risk of throwing it up. This verisimilitude of actual images allowed by the digital seduces every players of the profession, including the client. But the daily practice of it, keeps me believing that to deal with the present-day challenges, the Architecture has to move to others unexplored domains, and provoking upheavals. I proceeded to come up with an other reality, by reintroducing an imaginary part in the project comprehension. By replacing a raw image by a suggestion. Behind this radical attitude, I think that there are alternatives to the hyper-realistic illusion by transforming what generally works within the method, the device, and the appetence aesthetics."
Zyva. Red dogma
Voto: 8,2 (attinenza al tema: 8,2 //coerenza tra testo e immagine: 8,0 //ricerca grafica: 7,7 //qualità della riflessione: 8,7)
"By immersing myself in the turbulent waters of the Architecture, I noticed that the architectural representation was progressing against current. My retina, damaged by the blue light screen, witnesses an obvious step backwards through a digital, seductive and attractive hyper-realism. Yet, in the Arts world, the image has surpassed the realism barrier for a long time now. This is a reason to believe that the construction domain isn’t ready yet to gulp down this reality at the risk of throwing it up. This verisimilitude of actual images allowed by the digital seduces every players of the profession, including the client. But the daily practice of it, keeps me believing that to deal with the present-day challenges, the Architecture has to move to others unexplored domains, and provoking upheavals. I proceeded to come up with an other reality, by reintroducing an imaginary part in the project comprehension. By replacing a raw image by a suggestion. Behind this radical attitude, I think that there are alternatives to the hyper-realistic illusion by transforming what generally works within the method, the device, and the appetence aesthetics."